Quello dei nativi digitali è un tema molto dibattuto, anche se spesso viene affrontato nel modo sbagliato.
Leggevo in questi giorni un paio di riflessioni (una su Facebook che non trovo più, e un altra sul sito di Paolo Attivissimo, riportata più in dettaglio qui) che messe insieme sintetizzano più o meno il mio pensiero.
Ne scrivo qui, senza tema di essere smentito tra qualche anno, quando i miei due “nativi digitali” inizieranno a usare PC e smartphone.
Ma nativi di dove?
Prima di tutto definiamo “nativi digitali”: in sostanza si indicano con questa espressione i ragazzi / adolescenti, nati quando già esistevano personal computer, telefoni cellulari, smartphone e internet.
Questa locuzione è usata (anche impropriamente) per indicare gli utenti giovani delle tecnologie, attribuendo loro una competenza magica e inarrivabile che in realtà non hanno.
I nostri figli sono più esperti con la tecnologia
Il ragionamento che si fa, sbagliando, è questo: i nativi digitali hanno più facilità a interagire con PC e smartphone perché sono “più bravi” dei loro genitori.
In realtà è semplicemente sbagliato l’approccio: i giovani hanno molto tempo e molta voglia di interagire con il mondo digitale, e di conseguenza diventano degli “utilizzatori esperti” in brevissimo tempo. I loro genitori o i loro nonni non hanno né lo stesso tempo, né lo stesso desiderio di imparare e di usare la tecnologia.
E’ come andare in bicicletta, o fare i palleggi coi piedi: più ti alleni, più diventi bravo. Saprai fare evoluzioni in bici o col pallone. Ma non diventi Moser, né Pirlo.
I nostri figli saranno bravi tecnici perché sanno usare bene il PC/smartphone
Anche qui, il ragionamento di fondo è sbagliato: la distanza tra utilizzatore e tecnico nel mondo digitale è andata gradualmente aumentando.
Oggi possiamo benissimo essere ottimi utilizzatori di uno smartphone (tanto bravi da riuscire persino a “rootare” un telefono con Android) senza sapere minimamente come sia fatto, come sia costruito o come possa colloquiare con il mondo.
Soprattutto, basta essere minimamente svegli per cercare sul web dei video esplicativi, o delle istruzioni passo-passo per fare cose che possono sembrare magia (tipo cambiare l’ animazione di avvio o installare le app nella scheda esterna).
Questo non significa che si sappia COSA stiamo facendo, e nemmeno COME farlo. Implica semplicemente essere capaci di seguire delle istruzioni, di fare una sequenza di operazioni, anche senza sapere PERCHE’ ci viene detto di farle.
In più, come dicevo, la distanza tra utilizzatore e tecnico è ormai grandissima: nel lontano ’82, quando mi fu regalato il mio primo computer (un Philips VG-8020) non bastava andare a intuito, dovevi leggere il manuale e imparare come venivano caricati e salvati i dati (sulle cassette magnetiche!), dovevi imparare i comandi e sapere esattamente cosa facevano, altrimenti rischiavi di perdere il lavoro fatto o anche solo i salvataggi dei giochi.
Ti facevi in casa i cavetti per collegare il computer alla TV a colori (figata! non di soli fosfori verdi vive il ragazzino!) o smanettavi col mangiacassette per modificare l’allineamento della testina se il computer non caricava i dati. Oggi non serve, nella stragrande maggioranza dei casi, non è necessario sapere cosa è una linea di comando o uno swith di avvio per un programma, farà (quasi) tutto il sistema operativo che stai usando.
E quindi?
In conclusione è innegabile che i “ggiovani” abbiano capacità e facilità di utilizzo dei dispositivi digitali.
Hanno tempo e voglia per imparare (cose che spesso i genitori non hanno), ed è un bene, perché ne avranno bisogno, nella vita quotidiana e lavorativa.
Ma da li a dire che saranno “bravi tecnici” ne passa! Sarebbe limitante e fuorviante pensarla così: li porterebbe a pensare che bastano quattro icone per fare tutto, e non si chiederebbero “ma come funziona?”, rimanendo limitati alla superficie.
Anche pensare che la conoscenza si inculchi direttamente nella loro testa soltanto con l’utilizzo degli strumenti è sbagliato.
E’ un po’ come dire che un ragazzino diventerà un bravo pasticcere perché mangia tante torte…
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